Mai come negli ultimi mesi il benessere luminoso e dunque il comfort visivo assicurato dalla luce naturale, diretta e indiretta del sole, hanno giocato un ruolo fondamentale nell’assicurare una più generale condizione di benessere, durante le lunghe ore trascorse nelle nostre case.
Assicurare un costante apporto di luce naturale nello svolgimento delle quotidiane attività domestiche, così come quelle di lavoro, studio o di svago, è ormai essere uno degli elementi decisivi rispetto nel favorire la concentrazione e di conseguenza i normali cicli di sonno e veglia, regolati nel nostro organismo dalla secrezione di ormoni, sollecitatati dall’esposizione alla luce naturale.
Oltre ai fattori più o meno noti derivanti dall’esposizione alla luce naturale del sole o della volta celeste, quindi della luce riflessa dal cielo sereno o coperto, occorre tenere conto dei sostanziosi apporti gratuiti di calore che una apertura finestrata verso l’ambiente esterno è in grado di assicurare all’ambiente.
La radiazione solare, termica e luminosa, è in grado di riscaldare l’ambiente, sia attraverso la penetrazione luminosa diretta del raggio attraverso il serramento e dunque una volta attraversato il pannello vetrato, sia per accumulo di calore al di disopra della superficie stessa del serramento nella sua interezza, provocando l’effetto termico, noto come effetto serra.
Sebbene questo vantaggioso apporto gratuito possa fungere da volano per aumentare le temperature locali negli ambienti che godono di un affaccio diretto sull’ambiente esterno, tramite finestre, porte vetrate o superfici vetrata fisse, dall’altro verso occorre prestare particolare attenzione alla gestione della luce solare in ingresso durante la stagione calda, apporto termico che potrebbe rivelarsi quanto mai dannoso e controproducente in termini di aumento dei carichi termici sull’ambiente interno.
E’ ormai chiaro il tema della luce naturale debba essere trattato sotto molteplici punti di vista: da una parte come principio di costruzione dello spazio, come elemento di simbiosi e mediazione tra l’esterno e l’interno, come strumento di percezione dell’immagine, dello spazio e della forma, funzioni predominanti nella costruzione dello spazio tridimensionale architettonico e, non da ultimo, dal punto di vista termico ed energetico.
Come è possibile desumere da questa introduzione, la questione della gestione della luce naturale e dei connessi benefici in termini fisiologici, ottici, termici e ambientali richiederebbe una complessa trattazione, spaziando attraverso tematiche non strettamente affini al settore delle tecnologie per i componenti edilizi.
In tal senso, il progettista deve oggi essere in grado si poter controllare e gestire, auspicabilmente in maniera integrata tutti questi aspetti, per realizzare un edificio sicuro, confortevole ed ambientalmente responsabile.
La luce per l’ambiente domestico costituisce un aspetto fondamentale per il raggiungimento del comfort interno e per la definizione dello spazio stesso della casa.
La creazione di un ambiente accogliente e confortevole, che favorisca le attività di relazione, di riposo e di lavoro, deve essere gestita opportunamente fin dalle prime fasi della progettazione.
Dalla questione illuminotecnica, che si deve occupare della definizione dei limiti e delle soglie luminose per le funzioni abitative, per poter soddisfare le molteplici esigenze delle utenze domestiche, la questione della qualità dell’illuminazione di uno spazio chiuso, sia esso una casa, un ufficio o altre funzioni, non può venire banalizzata a una semplice trattazione di tipo normativo o descrittivo.
L’approccio energeticamente sostenibile, volto a creare ambienti poco energivori, ma al tempo stesso piacevoli e confortevoli sotto il profilo luminoso e visivo, deve dunque necessariamente prevedere il ricorso congiunto di fonti di luce naturale e artificiale, affinché l’architettura diventi mezzo attraverso cui poter favorire il benessere globale dell’uomo.
Nonostante la crescente attenzione per i cambiamenti climatici in atto, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, si stima che una quota superiore al 30% delle nuove costruzioni si connoti con un deficit consistente nel comfort indoor, sia dal punto di vista del benessere termoigrometrico, sia da quello luminoso.
Muovendo dalle valutazioni architettoniche e costruttive, oggi il progettista può servirsi di competenze trasversali e multidisciplinari che lo supportano nella gestione della corretta progettazione dello spazio luminoso: non esclusivamente per ciò che riguarda aspetti termici e di gestione del calore estivo o invernale, ma anche con il supporto di aspetti desunti dalla medicina per gli spazi chiusi.
Negli anni Ottanta del secolo scorso, ad esempio, studi congiunti portarono alla definizione di una terapia della luce usata per la prima volta per curare le depressioni invernali, le cosiddette SAD, Seasonal Affective Disorder, proprio per ottimizzare la permanenza di soggetti fragili -se non con patologie mediche-, durante i lunghi ricoveri ospedalieri.
Tra le tante peculiarità che rendono preferibile la luce naturale a quella artificiale, occorre primariamente valutare il colore della luce, nelle sue variazioni nel tempo di colore, il contrasto e la luminanza, che, ad oggi, non possono essere simulate con efficacia da nessun altro tipo di sorgente artificiale.
Il comfort psicologico e il benessere psicofisico connessi alla presenza di un’illuminazione in prevalenza naturale garantiscono quindi il corretto funzionamento del ritmo circadiano e della sintesi della vitamina D, regolando il processo di secrezione ormonale assieme all’alternanza dei periodi di sonno e veglia nell’individuo.
Gli studi scientifici, nati inizialmente in ambito medico, hanno fortemente contribuito a valorizzare gli effetti benefici connessi all’impiego della luce diretta del sole per favorire il benessere e la salute umana, apporti che oggi devono essere trasposti, in chiave progettuale e costruttiva, in ambito domestico e residenziale.
Le esigenze differenziate legate alla funzione, alla posizione geografica e all’orientamento dell’edificio, richiedono al progettista di valutare preliminarmente quali siano le migliori configurazioni nella disposizione delle aperture, nella scelta dei dispostivi ombreggianti e schermanti, oltre alla necessaria valutazione del tipo di vetrata di cui dotare la foratura.
Il progettista deve saper valutare dunque non solo le necessarie accortezze per garantire il rispetto dei requisiti minimi di illuminazione naturale e ventilazione, ma soprattutto prevedere una vasta gamma di possibili usi che, di quel determinato ambiente, l’utente finale potrà fare uso.
In altre parole, il soddisfacimento del rapporto di 1/8 tra superficie vetrata e superficie calpestabile di un vano non può più essere impiegato in una progettazione mirata al risparmio energetico, al soddisfacimento di esigenze termiche, visive e di comfort generalizzato per gli occupanti.
Mai come in questo momento storico, i vasti mezzi a disposizione dell’utente finale permettono di prefigurare come possa essere configurato un ambiente ben illuminato, correttamente schermato e ombreggiato, quali siano le più idonee scene luminose a disposizione dell’utilizzatore, nei più disparati scenari meteorologici. Ma ciò che rimane compito esclusivo del tecnico competente è la corretta configurazione e la successiva gestione congiunta del sistema finestra con il resto dell’involucro edilizio.
Nel solco di queste considerazioni si potrebbe dunque giungere all’errata convinzione che l’illuminazione diurna possa rappresentare un aspetto complesso, se non impossibile da gestire all’interno di un progetto architettonico, o di un progetto di recupero e restauro.
Sebbene si configuri indubbiamente come un argomento complesso, la normativa oggi a disposizione permette di gestire con consapevolezza tutti gli aspetti di cui tenere conto per assicurare all’edificio e ai suoi ambenti illuminati naturalmente, la più appropriata visuale esterna e il corretto apporto di luce diurna.
Una progettazione integrata e dunque sostenibile -nella più ampia accezione del termine- ed efficace, richiede un approccio olistico, pena l’impossibilità di soddisfare tutti i criteri funzionali di un edificio. In quest’ottica, oggi diversi protocolli di valutazione ambientale dell’edificio riservano ampio spazio alla promozione della luce naturale, al garantire il corretto apporto di luce e ombreggiamento, pur assicurando sempre la visuale dell’esterno.
L’impatto positivo della luce diurna sugli occupanti degli edifici e sul loro benessere occupa un posto rilevante nell’attribuzione dei crediti nello standard LEED, WELL e BREEAM.
In BREEAM, ad esempio, la salute e il benessere (categoria HEA01) assicurano un credito per il comfort visivo , richiedendo il soddisfacimento del fattore medio di luce diurna minimo FLDm del 2% su una superficie minima dell’80% dello spazio occupato o, per ottenere un credito aggiuntivo, di un FLDm del 3%.
Il panorama normativo per il progetto, la gestione e il controllo della luce naturale e il nuovo standard
Le performance luminose ed energetiche, così come le potenzialità espressive della luce naturale possono essere determinate attraverso una valutazione multicriterio, che sia in grado di tener conto delle molteplici prestazioni legate all’impiego del daylight in ambito architettonico, linguistico e formale. Un sistema analitico basato su una valutazione di tipo statico, che valuti il permanere di condizioni prevalenti nei livelli d’illuminazione e di abbagliamento in un ambiente confinato, costituisce l’unico approccio oggi consentito e ampiamente diffuso nella pratica professionale.
Il daylighting assessment, ovvero la valutazione dei livelli di illuminamento medi ottenuti con sola luce naturale negli ambienti confinati, prevede che un adeguato apporto di luce naturale si possa ottenere tramite il raggiungimento di prestabiliti livelli di soglia, in relazione al compito visivo prevalente che si svolge nel locale. Questo criterio, appare oggi limitante e inattendibile, tralasciando volutamente la peculiare variabilità e la dinamicità della luce, le condizioni del cielo e la mutevolezza delle funzioni e dei compiti, che in quel dato ambiente possono svolgersi.
Gli elementi solitamente assunti per la determinazione di un appropriato ambiente luminoso domestico sono spesso difformi dalle reali esigenze dell’utente finale, basando la scelta progettuale su semplici fattori geometrici e, in taluni casi, optando per semplificazioni di tipo ottico.
Uno degli esempi più evidenti di questo approccio semplicistico ed evidentemente inefficace, riguarda i diversi tipi di illuminamento da mantenere in ambito domestico.
Le prescrizioni per il mantenimento di livelli costanti di luce artificiale secondo quanto stabiliva la norma UNI 10380 sull’illuminazione di interni con luce artificiale, oggi sostituita con la UNI EN 12464/2004, prescrivono semplici limiti (livelli di illuminamento – lux) da mantenere in relazione alle differenti funzioni e compiti visivi, senza distinguere in maniera specifica le molteplici funzioni che possono trovare attuazione in uno spazio chiuso, risultando profondamente carenti per quel che riguarda gli illuminamenti da luce naturale, distinguendo infatti due macro-soglie da garantire, pari a 200 e 500 lux.
In ambiente residenziale la norma UNI EN 12464/2004 si limita a prescrivere valori medi del fattore di luce diurna FLDm, differenziando essenzialmente le condizioni di luce in ingresso da una sola parete nell’ambiente o da due fronti differenti. I limiti prescritti si differenziano fissando il limite generico per l’ambiente residenziale per il valore medio di luce diurna a 2% , distinguendo tra zona del , camere da letto e zona cucina e preparazione.
Esulando dall’edificio residenziale, il Consiglio Europeo in accordo con il Parlamento Europeo ha emanato nel 2011 l’ultimo aggiornamento alla norma del 2008 titolo “Light and Lighting – Lighting of work places – Part 1: Indoor work places” come riferimento normativo per tutti i paesi dell’Unione Europea in merito all’illuminazione negli ambienti di lavoro.
Tale norma è stata poi recepita dal nostro paese nel luglio 2011 con la normativa UNI EN 12464-1 allo scopo di prescrive i requisiti illuminotecnici per gli ambienti interni di lavoro, al fine di garantire le prestazioni ed il comfort visivo in essi richiesti, attraverso il controllo di molteplici parametri quali i sopracitati livelli di illuminamento, la distribuzione delle luminanze, l’uniformità, l’abbagliamento (UGR), la direzione della luce, l’indice di resa cromatica, la temperatura di colore, il flickering e il controllo della luce naturale.
Nel contesto di un panorama normativo contraddistinto da evidenti carenze nel supportare progettisti e costruttori, un nuovo standard europeo per l’illuminazione diurna è da anni al vaglio dei comitati tecnico-scientifici che, attraverso sforzi congiunti assieme a tutta la comunità scientifica europea, intende per la prima volta identificare uno strumento univoco per spostare il fulcro della progettazione luminosa degli edifici e il ruolo forature, verso l’obiettivo primario di migliorare il comfort degli occupanti e l’efficienza energetica complessiva dell’edificio. La necessità di fornire aperture vetrate e luce diurna distribuita omogeneamente negli spazi interni, riducendo al contempo l’uso dell’illuminazione artificiale, deve essere considerata e progettata di pari passo all’esigenza di assicurare un equilibrio stabile tra dispersioni termiche e guadagni solari.
Il nuovo standard europeo UNI EN 17037:2019 definisce i requisiti minimi per ottenere un’illuminazione naturale negli ambienti interni e un adeguato contatto con l’esterno, attraverso l’individuazione di idonei elementi tecnici e progettuali per raggiungere, per mezzo della luce naturale, una appropriata percezione e per fornire una visione adeguata.
La EN 17037 si identifica chiaramente come la prima norma europea a occuparsi esclusivamente della progettazione e della fornitura di luce diurna negli edifici, andando progressivamente a sostituire un mosaico di standard e prescrizioni di diversa natura oggi riscontrabili in tutti i paesi europei. Alcuni standard europei oggi esistenti includono infatti la luce diurna come fattore autonomo da valutare nel progetto (ad esempio EN 12464-1 e EN 15193), mentre molti atri standard valutano in maniera indistinta l’apporto di luce elettrica e luce diurna.
La EN 17037:2019 copre dunque quattro aree di illuminazione diurna: la fornitura di luce naturale, la valutazione della vista dalle finestre, l’accesso alla luce solare e la prevenzione dell’abbagliamento.
Sebbene la norma sia indirizzata all’applicazione sui nuovi edifici, è chiaro come il rispetto delle sue disposizioni possa trovare efficace applicazione anche sugli edifici esistenti.
Definito lo standard, ovvero un corpus di semplici raccomandazioni che non hanno valore cogente, è ora compito dei paesi Membri recepire lo standard, adottarlo e incorporarlo nei quadri normativi nazionali, attraverso appositi allegati nazionali, a supporto della fattiva applicazione delle raccomandazioni dello standard nel paese specifico.
A solo scopo illustrativo si analizzano ora alcuni degli aspetti normativi più innovativi introdotti dalla EN 17037:2019.
Tra le novità più efficaci che lo standard introduce vi è quella in merito alla fornitura di luce diurna, (livelli di illuminazione), che per la prima volta consentirà di prevedere come e in che condizioni di illuminamento sarà necessario per gli utenti ricorrere all’impiego di illuminazione artificiale per rispondere al compito visivo: questa valutazione previsionale sarà resa possibile grazie all’impiego di modelli basati sul clima locale.
Lo standard cerca inoltre di porre l’accento sul favorire, per quanto possibile, la visione dell’esterno per tutti gli utenti: per la prima volta verrà considerata la profondità del campo visivo e saranno computate tutte le possibili ostruzioni, nonché altri elementi determinanti nella limitazione della percezione dell’esterno (cielo, paesaggio e terreno), al fine di garantire una visione dell’outdoor percepita come chiara, priva di distorsioni e di colore neutro.
In aggiunta, il calcolo della quota in eccesso di radiazione -ovvero la quota di illuminamento eccessiva provocata dalla luce solare- solare verrà computata non solo dal punto di vista fisico- percettivo, ma come fattore dirimente nella valutazione dei livelli di comfort visivo e soggettivo per gli utenti finali. Ampio spazio verrà infine dedicato alla valutazione della prevenzione dell’abbagliamento, al fine di minimizzare, se non rimuovere, la probabilità di abbagliamento per gli utenti dell’edificio, in particolare quelli non direttamente interessanti dal compito visivo.
A breve termine, è auspicabile che lo standard EN 17037:2019 entri anche a fare parte anche delle valutazioni a punteggio dei sistemi di certificazione ambientale come LEED, BREEAM o WELL, nei quali il soddisfacimento dei requisiti raccomandati aiuterà ad ottenere crediti extra.
La futura applicazione a livello nazionale dello standard aprirà dunque nuovi scenari per la valorizzazione di un progetto quanto mai integrato tra sistemi di captazione della luce naturale (finestre, porte finestre e lucernari ) e relativi sistemi schermanti e ombreggianti, rafforzando il ruolo di professionisti specializzati e, parimenti, consolidando il ruolo dei produttori di elementi finestrati fino ad oggi relegati a comprimari nel progetto dell’architettura, come nuovi attori fattivi nella realizzazione di edifici sani, confortevoli ed energeticamente responsabili.